15.02.2024 – DON ANTONIO INTERGUGLIELMI
Le beatitudini, che questa domenica ascolteremo dal Vangelo di Luca, vanno interpretate nel modo giusto. Non come un moralismo, né un invito a soffrire. Tutt’altro. Gesù ci vuole felici ma per questo dobbiamo guardarci dentro.
Tutti noi cerchiamo di realizzarci e questo è buono, ma la vera domanda è dov’è il nostro cuore? Dove cerchiamo davvero la felicità? Perché, se non troviamo il senso profondo di quello che viviamo, se ci accontentiamo di vivere alla superfice, potremmo sprecare la nostra vita. Quello che proclamano le beatitudini non è tanto la ricchezza in sé, che potrebbe essere usata per fare del bene, ma l’attaccamento al denaro, l’avidità, che ci impedisce di vedere qual è il vero bene. Riempirsi di gratificazioni terrene, piaceri e desideri mondani, di quello che è effimero impedisce la ricerca della beatitudine.
Verrà un momento in cui tutto quello in cui abbiamo messo il cuore, abbiamo speso tante energie e speranze, ci deluderà; ma questo potrà diventare un tempo di Grazia. Un tempo di verità. Un’opportunità unica per riprendere in mano la nostra vita, affidarla al Signore, a Lui che non delude, che compie le sue promesse.
Ecco il senso delle parole di Gesù del Vangelo, che quindi non è un inno alla sofferenza, «Beati voi poveri, perché vostro è il regno di Dio. Beati voi che ora avete fame, perché sarete saziati. Beati voi che ora piangete, perché riderete»: non si parla della miseria ma del sentirsi non autosufficienti, bisognosi del Signore, di aver fame delle Sue Parole di vita.
«Non trovo alcun sollievo nell’abbondanza dei beni terreni, mentre mi conforta soltanto il ricordo del mio Creatore, che non posso ancora vedere. Tale è dunque l’amarezza dei sapienti, che, quando sono sollevati in alto dalla speranza, non cedono ad alcun godimento di quaggiù», scriveva San Gregorio Magno (Commento morale a Giobbe).
Gesù non ci invita alla sofferenza e al pianto, ma ad entrare nella verità e quindi nella bellezza, a scoprire il senso della nostra vita.