02.11.2024 – DON ANTONIO INTERGUGLIELMI
Lo scriba vuole sapere da Gesù qual è il comandamento che occorre osservare, il
più grande; anche lui, come forse anche noi, è alla ricerca di qualcosa che lo possa giustificare davanti a Dio, una regola da imparare per sentirsi a posto.
La fede però non è una serie di precetti da seguire più o meno bene, non si ottiene
frequentando una scuoletta dove ti insegnano ad essere un poco migliore, così che tu possa dire: “Ah! Ho imparato molto: ho appreso come diventare migliore!”.
Al contrario, quando incontriamo Cristo vivo dentro di noi, cominciamo a scoprire
chi siamo, che non siamo migliori di nessuno, anzi. Gesù Cristo, infatti, non ci ha aperto un cammino di perfezionismo. Lui invece è morto per i nostri peccati e te li ha perdonati tutti: ora è risuscitato in cielo pronto a darci il perdono e uno Spirito nuovo se noi lo chiediamo.
Ecco perché Gesù allo scriba risponde che lo Shemà si compie pienamente quando
l’incontro con il Signore dà i suoi frutti con la nostra vita concreta: frutti che non si devono alla nostra buona volontà, perché sarebbero ancora limitati, ma all’azione dello Spirito di Cristo dentro di noi, che può tutto.
Perché questo avvenga in noi è necessario che lo desideriamo e chiediamo al
Signore, proprio come lo scriba del Vangelo di Marco: la nostra storia allora illuminata dallo Spirito di Cristo, diventa immagine dell’amore che Lui ci ha donato.