28.04.2024 – DON ANTONIO INTERGUGLIELMI
La Sacra scrittura indica nel mestiere del contadino il lavoro più vicino a Dio. Perché il suo lavoro è precario, legato al tempo, alla stagione, alle piogge: il contadino sa che si deve affidare alla Provvidenza, prega che il Signore mandi al tempo giusto la pioggia o il sole, secondo quello di cui le sue piante hanno bisogno, conosce il modo di trattarle perché portino i loro frutti.
Gesù usa nel Vangelo di Giovani di questa quinta domenica di Pasqua un paragone legato all’agricoltore: Lui è la vite, il Padre il contadino che, con sapienza e pazienza, ha cura della nostra vita, perché noi possiamo portare frutti e in questi rendere Gloria al Signore.
Noi siamo questa vite che deve però rimanere legata alla pianta per portare frutto, che ha la sua radice in Cristo Gesù. Tutti noi infatti siamo stati creati per dare dei frutti di amore e di
comunione: per questo accogliere la Sua Parola significa accettare di essere guidati dal Signore, “tagliando” tutto quello che ci allontana da Lui.
Occorre chiedere la sapienza per essere suoi discepoli, per essere disposti a farsi correggere dal Signore, quando necessario: una Sapienza che Cristo ci dona se rimaniamo legati a Lui, realmente disposti ad ascoltarlo, mettendo in pratica la Parola.
«Le sue parole rimangono in noi, quando facciamo quanto ci ha ordinato e desideriamo quanto Ci ha promesso; ma quando invece le sue parole restano, sì, nella nostra memoria, ma non se ne trova traccia nella nostra vita e nei nostri costumi, allora il tralcio non fa più parte della vite, perché non assorbe più la vita dalla sua radice» (S. Agostino, Commento al Vangelo di Giovanni, Omelia 81).