18.02.2021 – PAMELA SALVATORI
Nell’enciclica Laborem Exercens, scritta in occasione del novantesimo anniversario dell’enciclica Rerum Novarum di Leone XIII, san Giovanni Paolo II afferma che «il lavoro umano è una chiave, e probabilmente, la chiave essenziale, di tutta la questione sociale» (n. 3) considerata dal punto di vista del bene della persona umana.
Il lavoro, infatti, costituisce una dimensione fondamentale dell’esistenza umana ed il suo valore si comprende soprattutto alla luce della divina Rivelazione, che ne manifesta lo statuto protologico. La Sacra Scrittura, e in particolare il libro della Genesi, rivela che il lavoro appartiene alla condizione umana fin dalle origini della creazione dell’uomo. Dopo aver creato l’uomo, maschio e femmina, a sua immagine e somiglianza, Dio lo rese partecipe della sua signoria sul creato, comandandogli di essere fecondo, moltiplicarsi e soggiogare la terra (cfr. Gen 1,27). Si tratta di un dominio partecipato sulla creazione, che nulla ha a che vedere con il dominio dispotico che spesso l’uomo attua con grandi danni per l’ambiente e le persone. In altre parole esso è un’attività da svolgere nel mondo per custodirlo, migliorarlo, sempre cooperando con Dio e in dipendenza da Lui.
Questa vocazione al lavoro manifesta la capacità dell’uomo di trascendere la materialità, ed è una conseguenza dinamica del suo essere creatura ad immagine di Dio, dotata di intelletto e volontà. In altre parole, proprio nella verità antropologica della creatura-immagine si trova la ragione della partecipazione cosciente dell’uomo all’agire creativo di Dio nel mondo e nella storia. Ne deriva che per svolgere sapientemente il suo lavoro secondo la chiamata divina, egli ha come modello di riferimento l’agire stesso di Dio, il quale nel creare l’universo ha presentato all’uomo la sua opera nella forma del lavoro e del riposo. Infine, come insegna la costituzione Gaudium et spes, nel comando di dominare la terra si manifesta anche il carattere transitivo del lavoro, e il compito per l’uomo di servirsi adeguatamente delle risorse terrestri per il suo bene e dell’intera umanità, affinché il nome di Dio venga glorificato su tutta la terra (cf. GS n. 34).
Sulla base della visione cristiana dell’uomo, il lavoro emerge come un diritto naturale fondato sulla dignità ontologica dell’essere umano. Benché con la perdita dello stato di innocenza il lavoro sia divenuto faticoso e doloroso al punto da costituire persino un problema per l’uomo, esso non ha perso il suo valore originario, né la sua importanza per la vita umana. La caduta nel peccato non ha cancellato la vocazione dell’uomo al dominio partecipato sul creato, pertanto egli con il proprio lavoro risponde alla chiamata iniziale, divenendo progressivamente signore del creato affidatogli in cura da Dio. Tale processo di maturazione e perfezionamento nel lavoro è universale, perché coinvolge tutti gli uomini di ogni epoca, e al contempo individuale, perché richiede di attuarsi sempre nuovamente in ogni singola persona (cf. Laborem exercens n. 4). In virtù della Redenzione di Cristo, inoltre, la fatica annessa al lavoro assume valore redentivo per l’uomo, che può lavorare unendo la sua sofferenza alla Croce di Cristo e contribuendo così alla salvezza di tutta l’umanità (cf. Rerum novarum n. 4).
Nell’enciclica Laborem Exercens san Giovanni Paolo II individua due sensi del lavoro: il senso oggettivo e quello soggettivo. La dimensione oggettiva include le molteplici forme in cui esso si realizza: dall’agricoltura all’allevamento, alla più recente industria ove con l’ausilio della tecnica il lavoro umano è facilitato e accelerato nella produzione dei beni. Tuttavia il senso oggettivo, pur avendo un suo innegabile valore, non è quello principale, né la produzione dei beni materiali può ritenersi lo scopo ultimo dell’attività umana. L’idea di dominio dice principalmente il senso soggettivo del lavoro: l’uomo è il soggetto del suo lavoro esercitato per il suo perfezionamento. Il lavoro, infatti, contribuisce a realizzare la persona umana e possiede un innegabile valore etico che si fonda sull’uomo stesso.
Per una giusta comprensione del lavoro, dunque, è indispensabile riconoscere la priorità della dimensione soggettiva su quella oggettiva, perché proprio in essa si radica la dignità del lavoro stesso che, in definitiva, è per l’uomo ed ha come scopo sempre l’uomo.